top of page
  • Immagine del redattoreFosco o

Fiore

Aggiornamento: 18 apr




Arrivo a scuola verso le 14.30, il cielo è plumbeo, ma i bambini sono ancora in giardino. Suono il campanello che citofona in bidelleria. Le maestre in giardino si voltano a fissarmi: cercano di capire chi io possa essere: pelato, con una barba incolta e  con tatuaggi e piercing che spuntano dalle maniche della felpa tirate su fino ai gomiti.

Vedo in lontananza la collaboratrice scolastica che mi fa segno di entrare e apro il cancello. Mi dirigo verso la maestra più anziana, indicatami come la responsabile: é una donna sulla sessantina, minuta e con i capelli corti che si iniziano ad assottigliare. Mi presento: “Piacere, Oscar, sono il sostituto della cooperativa, sono qui per L”.

La donna sorride e mi fa cenno di seguirla; mi conduce tra varie aule e in palestra, ma non troviamo il bambino e la insegnante di sostegno che lo ha accompagnato fino ad ora.  Torniamo in giardino ed eccoli: una donna magra con i capelli biondi e gli occhi azzurri che saettano da un lato all’altro. Tra le sue gambe, seduto sui piedi della maestra c’è L. Questo bambino è una sagoma: uno scricciolo magro con i capelli a caschetto, la bocca sottile e due occhi enormi color della cioccolata fondente. Ha 7 anni, passa le sue giornate tra maestre e TV e durante le sue ore a scuola resta fuori dalla classe. Per chi non ha mai conosciuto un bambino autistico di grado 3 con un alto punteggio ad esempio ad una valutazione ADOS potrebbe sembrare una cosa strana. Perché un bambino viene lasciato fuori dalla classe con l’educatore?  A questo punto perché mandarlo a scuola? La scuola ha anche questa funzione: anche solo passare un minuto in fila per il bagno senza poter aprire la porta come vuole, anche solo riuscire a stare seduto il tempo di un disegno, anche solo rispettare i “no” di un adulto per un bambino come L. sono la più importante forma di apprendimento che ci possa essere in questo periodo della sua vita.

Mi avvicino e mi presento anche alla insegnante di sostegno, le stringo la mano senza distogliere lo sguardo dal piccolo L. che di scatto si alza e si allontana, correndo verso la recinzione del giardino scolastico. Ci avviamo entrambi dietro di lui e nel frattempo inizio a porre qualche domanda: “Com’è?” chiedo stando sul vago.

“Allora” mi risponde “L. è un bambino molto dolce e da dopo il pranzo si è tranquillizzato, ma stamattina è stato un po' burrascoso. L’ho accompagnato al bagno circa mezz’ora fa quindi tra un po' riportalo perché rischia di farsela addosso”

Il bambino ha raggiunto un parziale controllo degli sfinteri, dipendente anche da una ridotta capacità comunicativa nell'esternare il bisogno di andare in bagno. Mi segno mentalmente l’orario a cui indirizzarlo ai servizi.

“L. oggi non è ancora uscito, siamo stati in auletta, quindi se ti va puoi anche stare fuori in giardino tutto il pomeriggio fino all’orario di uscita. A lui piace tanto stare fuori. Speriamo che il tempo regga. Ecco: l’unica cosa è non lasciarlo andare oltre quel cartello che vedi lì perché dietro la scuola stanno facendo dei lavori. Lui ti ci porterà di sicuro perché gli piacciono i fiori e lì ce ne sono tanti. Io vado in classe, per qualsiasi cosa vieni pure a chiedere”:

la ringrazio e mi rallegro: sembra che effettivamente la donna tenga al bambino e faccia attenzione alle sue esigenze.

L è ancora seduto per terra, circondato da bambini urlanti che corrono, ma tutta la sua attenzione è rivolta verso un piccolo pezzo di corteccia che tiene tra le dita magre: lo osserva con la testa inclinata a destra, guardandolo controluce e con gli occhi semichiusi. Dalla bocca emette piccoli sbuffi sommessi: è del tutto assorto a contemplare le venature dell’oggetto e con l’indice sfrega sulla superficie di esso.

Il rapporto con cui vivono le sensazioni tattili, visive, uditive, olfattive e gustative varia tra i diversi bambini che ricadono nello spettro più di quanto non cambi nella popolazione generale, almeno nella mie esperienza questo è ciò che ho notato.

L. sembra quasi del tutto disinteressato ai suoni attorno a lui: non si protegge le orecchie dal frastuono fatto dagli altri bambini e non risponde in alcun modo quando viene chiamato il suo nome o ai rumori secchi che vengono dai giochi poco distanti. Dall’altra parte l’intensità dello sguardo che rivolge al piccolo legno e l’attenzione con cui ne gratta il dorso frastagliato tradiscono un importantissimo investimento sensoriale su questi fronti.

L non parla, emette alcune parole e alcuni suoni dette ecolalie, per farla breve è la ripetizione di fonemi che il bambino ha sentito in alcuni contesti e in alcuni casi possono arrivare ad essere delle brevi frasi o associazioni di parole. Questo bambino mi fa morire: ripete “Dacia Duster” mentre fissa un punto alle mie spalle e lo dice con una sicurezza e un sentimento che mi spinge seriamente a chiedermi se non ci fosse un significato nascosto in quelle parole, una intonazione, una inflessione della vocalità che possa farmi capire un messaggio che non riesco ad afferrare.

Gli altri bambini vengono richiamati per tornare in classe: la ricreazione post pranzo è finita e il cielo minaccia pioggia.

Io e L. siamo ancora seduti per terra, ci alziamo e ci dirigiamo verso la parte del giardino in cui l’erba più alta nasconde dei fiori di diverse tonalità. Non sono sicuramente esperto, ma riconosco delle margherite e dei denti di leone, ma ci sono anche dei sottili steli con piccolissimi boccioli viola.

L. si siede di nuovo nell’erba, accarezzandola, vivace e concentrato, poi la sua attenzione viene rivolta a una margherita che spunta timidamente tra il resto della vegetazione. Viene scelta. Di norma non lascio che i bambini con cui passo le mie giornate strappino i fiori, ma la tenerezza con cui mi guarda L. e dice una delle poche parole che riesce a pronunciare mi disarma. “fiore” commenta semplicemente e poi tira la margherita fino a estrarla dalla terra morbida.

“fiore” ripete gurdandomi e portandosi la pianta alle narici per poi annusarla. Lascia scivolare la corolla bianca fino alle labbra e accenna un sorriso.

L conosce circa una ventina di parole secondo quanto ho osservato nel breve tempo in cui sono stato con lui e il fatto che tra queste 20 parole rientrino degli spot pubblicitari, citati parola per parola, ma che abbia trovato un piccolo posto nel suo cuore per associare il nome del fiore al suo aspetto e all’ annusarlo mi risulta come una carezza, un piccolo atto di innocente dolcezza che ha fatto.

Abbiamo passato almeno un’ora seduti in giardino circondati dai colori dei petali e mentre a me si stringe la gola per l’allergia che mi provocano, L. accarezza incessantemente l’erba per poi alzarsi brevemente, cambiare posizione e ricominciare. I movimenti del bambino sono interrotti saltuariamente da uno sfarfallio delle mani, un manierismo tipico in soggetti autistici, probabilmente si tratta di un gesto che ha la funzione di modulare i suoni o la luce attorno a loro per stimolarsi sensorialmente o per attenuare gli stimoli stessi.

Osservando L. ho notato come abbia un corpo magro, infantile ed estremamente elastico aggiungerei dopo averlo visto cimentarsi in una specie di posa con le gambe che, gettate verso l’alto, arrivano quasi ad unirsi dietro la testa.

Noto gli occhi, enormi e scuri, tanto da riflettere come specchi di mogano chi lo guarda, incerti nel soffermarsi su un qualsiasi obbiettivo, perennemente occupati nel guardare qualcosa che probabilmente per me sarà sempre impossibile comprendere, persi nel mare di suggestioni che seducono le iridi lignee.

Presenta una circonferenza cranica forse leggermente eccessiva per l’età e per il busto esile, ma non lo farei certo rientrare in un contesto di deformità sindromiche; la pelle del viso è bianca e presenta timidi intrecci di vene cineree sulle tempie. Ha delle ciglia estremamente folte e lunghe che contribuiscono a rendere il suo sguardo ancor più tridimensionale e profondo.

Guardando le manine che reggono ancora lo stelo di un dente di leone vedo come entrambi gli indici siano arrossati e gonfi: è molto probabile, nel caso di bambini come L. che ci siano degli episodi di autoaggressività quando vengono esposti a delle frustrazioni e uno dei più frequenti metodi è proprio il morsicamento delle mani o degli avambracci. È solo la seconda volta che vedo L. e mi chiedo se, come in molti altri casi, alla autoaggressività si associ anche la cosiddetta eteroaggressività, lo scaricare la frustrazione, la rabbia in atti violenti verso gli altri, siano essi bambini o il caregiver accanto a lui. Pochi giorni prima una bambina che seguivo con una paralisi cerebrale mi aveva graffiato il collo nella sua intera lunghezza nel tentativo di trascinarmi verso la porta della scuola per andare in giardino, ma in quel caso non era un gesto effettivo di violenza voluta. Nel caso di soggetti appartenenti allo spettro autistico non verbali come L., l’ impossibilità di comunicare normalmente le proprie emozioni porta spesso alla frustrazione del non sentirsi capiti, di non riuscire, da dietro a un muro invalicabile di pianto e grida a fare sentire le loro volontà interiori all’orecchio degli adulti. È come ì urlare da dietro a un vetro insonorizzato, contro qualcuno che tenta di ascoltarci, ma che non può sentirci, squarciarsi la gola per il terrore, per la rabbia, per l’insoddisfazione o per qualsiasi altro sentimento troppo forte da gestire e da riuscire ad esprimere.

Quasi mi perdo a riflettere, ma devo interrompere L. dal portare alla bocca un guscio di ghianda. Una goccia mi cade sulla mano. Alzo gli occhi al cielo ed effettivamente inizia a scendere una pioggerellina fine e ghiacciata che aumenta ad ogni secondo.

Mi alzo e tendo le mani a L. che le fissa brevemente per poi tornare a osservare il suo fiore. Mi chino e lo aiuto ad alzarsi, gli pulisco i pantaloni sporchi di terra e gli dico che dobbiamo rientrare.

 

Come dicevo L. e i bambini come lui spesso non riescono a stare in classe per lunghi periodi di tempo, sempre che riescano a tollerare di stare seduti e quindi gli insegnanti di sostegno o gli educatori hanno a disposizione delle stanzette a parte, di solito piene di giochi e piccoli libri in cartone che colorano gli scaffali e dove possono rifugiarsi quando il bambino non sopporta più il caos della classe.

È proprio nella stanza dei giochi da tavolo che ci dirigiamo. Ci fermiamo velocemente a fare tappa in bagno visto che la sveglia impostata inizia a squillare.

L. entra e fissa con aria vacua il lavandino, gli indico il water e da solo si abbassa gli indumenti, si siede ed, emettendo un lungo sospiro, urina per almeno un minuto. Abbiamo evitato il disastro di poco. Gli passo la carta igienica, lui si asciuga e poi si alza, tira su mutandine e calzoni e poi si gira verso lo sciacquone. Si volta e mi fissa, io sorridendo annuisco e lui con forza fa scendere l’acqua, guardando ipnotizzato il vortice che trascina giù la carta. Ci laviamo le mani e poi entriamo nella stanzetta. In pochi secondi l’umore di L. è cambiato e non gli importa che io abbia portato un fiore con noi. Inizia a muoversi in cerchio, sbuffando e facendo schioccare la lingua con un suono ritmico. Se lo chiedete a me non è per nulla contento di essere rientrano e sta creando un semplice rituale con il giro in cerchio e il ritmo dei suoni prodotti; sta generando velocemente una piccola routine che possa calmarlo, che possa riportare la sua mente su quel momento, concentrandosi su qualcosa, impendendo all’angoscia e alla incertezza di aver cambiato posto di prendere il sopravvento.

Chiudo la porta e mi siedo su un grosso puff di colore rosso che si trova a terra. Allargando un sorriso indico a L. le mie gambe. Lui si avvicina, mi guarda; io gli tendo una mano e lo invito ad abbassarsi. Si ferma e raccoglie da terra un piccolo giocattolo composto da due corde colorate verdi e rosse poi decide di sedersi sulle mie ginocchia e comincia ad attorcigliarle.

Mentre osservo questo bambino sbuffare e torcere nervosamente i due cordini mi chiedo cosa potrei fare per rendergli meno faticosa la giornata, quale attività si possa organizzare nei soli 45 minuti che ci rimangono. Al momento ho il vuoto. Non è sempre facile relazionarsi con bambini così: ogni piccola proposta o comportamento inusuale, se fatto con i modi e i tempi errati potrebbe scatenare una crisi comportamentale che rischia di durare anche fino alla fine della giornata scolastica. Rischiamo un episodio del genere quando, stupidamente, controllo l’ora sul telefono. L mi vede.

Appena lo rimetto in tasca allunga la mano e tenta di afferrarlo. Mi guarda dritto negli occhi e dice “Che Cosa Vuoi?”. La domanda mi spiazza. Sono certo che non sia effettivamente ciò che realmente mi sta chiedendo: è un altro esempio di ecolalia di cui parlavamo prima. Giungo alla conclusione che probabilmente sia una frase che la mamma o la educatrice che ha di solito usano dirgli quando tenta di prendere il telefono e così nella sua mente questa serie di vocalizzi si è associata alla idea di cellulare.

Per principio, a meno di casi rarissimi, non utilizzo mai il telefono con utenti così, soprattutto se potenzialmente ossessivi e ripetitivi come bambini che rientrano nello spettro autistico, quindi, allontanandogli la mano, gli dico con tenerezza “no, non ora”.

L. urla, un urlo acuto, acido, che esprime perfettamente la rabbia e la stizza per non aver ottenuto ciò che voleva, si porta la mano destra alla bocca e tenta di mordersi sull’indice, ma sono abbastanza veloce da prendergli il polso e stringerlo nella mia mano. Non penso si trovi su nessuna linea guida, ma nella mia esperienza, sostituire un atto come il morsicamento o il pizzicotto autoinflitto, con un altro gesto, sempre fisico, ma che non rischi di lasciare spiacevoli segni sulla pelle del bambino, è sempre una buona idea.

Stringo la mano di L e soffio sul suo dito. Rimane perplesso, poi urla ancora, ma lascia perdere il morsicarsi. Sono gesti piccoli, gesti che si imparano solo se qualcuno te li fa notare, se si osservano tanti utenti simili, apprezzando le piccole differenze di ciascuno.

L., come ogni bambino con questa condizione ha un futuro incerto: è stato dimostrato con statistiche e metodici studi che per i soggetti autistici i servizi territoriali sono estremamente concentrati nella età dello sviluppo, mentre i centri e le istituzioni dedicate crollano drasticamente arrivati all’età adulta. La sua vita è costellata da persone che passano, lo seguono per un po', cercano di interagirci. Sono figure, facce, che probabilmente per lui si mescolano in un turbine confuso che viene accolto con un misto di indifferenza e sprazzi di curiosità: adulti che provano a contenerlo, a cambiarlo, che provano a indirizzarlo su percorsi che per lui devono ancora acquisire un significato.

La campanella suona.

Ci alziamo dal torpore che stava avvinghiando entrambi e con voce squillante gli annuncio che è ora di andare a casa.

“Casa. Merenda”. Mi dice guardando verso l’alto. “certo” gli rispondo ridendo. La voce flebile e il tono sussurrato sono una altra caratteristica che si può trovare in molti soggetti parte dello spettro.

Ci fermiamo un’altra volta in bagno e poi andiamo a infilare lo zainetto sulle spalle. Mentre firmo per la sostituzione la maestra di sostegno lo prende per mano e mi ringrazia.

“ciao L” gli dico “ci vediamo presto”

La maestra mi indica e “saluta Oscar” propone.

Timidamente L alza una manina e dice “ciao ciao”, ma con lo sguardo è già verso l’uscita della scuola. Ricomincia la sua routine casalinga. Mi chiedo cosa gli piaccia guardare oltre lo spot della Dacia Duster. Mi chiedo cosa succederà a L nei prossimi anni. Mi chiedo come diventerà da adulto e se avrà ancora quegli enormi occhi color mogano capaci di vedere le cose in una maniera incomprensibile a tutto il resto del mondo.

Mi chiedo se rivedrò mai più L, che sia come educatore o come medico. In mezzo ci sono anni che passano, competenze acquisite, possibilità di centri diurni, burocrazia e tanto tanto bisogno di fortuna, ma penso che la sola cosa che deciderò di portarmi a casa oggi sia la speranza di aver fatto capire a L. quanto chi gli sta attorno gli possa volere bene.

41 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

101

mi perplime come numero: fossero state 100 sarebbe andato meglio, ma 101 è strano. fisso la pagina e riaggiorno le statistiche del sito....

תגובות


bottom of page